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Sì, è il mio quarto libro. Ho pensato che fosse un
dovere, questa testimonianza. Ho creato un gruppo su facebook, La banca della memoria: e ho
cominciato a chiedere ai miei contatti virtuali se volessero condividere questo
progetto: raccontare noi, i testimoni, le prime dodici ore della notte tra il 5
e il 6 aprile del 2009. Volevo che fosse la nostra voce di abitanti dell’Aquila
e dei paesi del cratere a raccontare quest’esperienza che rinnegava le parole.
Sono sempre stata convinta che scrittura e terapia vanno insieme… Pian piano le
adesioni sono arrivate. Non è stato facile: in alcun i casi le ho quasi
“estorte”, dolcemente e con forza. Per alcune ho atteso tempi lunghissimi. Ma
anche questa attesa aveva il suo senso. I testi, stando insieme, hanno
cominciato a coalizzarsi, a riconoscersi… e così sono nate le 7 sezioni del libro: Numeri, La
lista, A piedi nudi, Qui è ancora notte, Voci, L’esodo e gli Intrusi.
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Mi sono accorta di aver fatto anch’io un viaggio, in
questi anni in cui ho lavorato per cercare di far emergere la voce di ogni
singolo testo, rispettandolo. Un viaggio nelle storie e nelle vite degli altri.
Ci sono testimonianze che riguardano Camarda, Calascio, Coppito, Paganica, San
Demetrio, San Gregorio… Zone o quartieri dell’Aquila come San Pietro, Costa
Masciarelli, Via Sassa… questi nomi dicono ben poco ai non aquilani, e spesso
per sintesi usiamo dire L’Aquila. Ci sono testimonianze di ragazzi
giovanissimi, appena diplomati e di persone di tutte le età e di tutte le
professioni. Autori più o meno noti; autori che hanno un rapporto frequente o
professionale con la scrittura, autori che hanno scritto per la prima volta per
me. Oserei scrivere per noi. Perché forse, la caratteristica di questo libro,
la sua forza è che è stato un libro condiviso, in tutte le sue fasi: per questo
ho usato il sottotitolo Narrazione collettiva. Anche per me ci sono state
lunghe pause tra le varie fasi di preparazione del libro. C’erano dei giorni in
cui mi era impossibile lavorare perché non riuscivo a trovare il distacco
sufficiente da quei testi che comunque mi riguardavano.
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I gigli della memoria perché ogni racconto è un
giglio e ogni giglio corrisponde ai gigli dell’Aquila, bellissimi abbellimenti
finali delle catene di ferro che tenevano in piedi i muri maestri nelle vecchie
case aquilane. La scrittrice Laudomia Bonanni sostiene che siano degli ex voto:
e che questi gigli siano stati messi sulle case e sui muri rimasti in piedi
dopo il terremoto del 1703. Quei gigli ci sono ancora: anche se un po’ nascosti
e poco visibili, rappresentano ormai per me (e non solo per me) il simbolo
della nostra città: e mi piacerebbe che spuntassero su ogni casa ricostruita, a
testimoniare questa seconda distruzione e questa seconda voglia di rinascita. I
gigli legano, come in una catena di ferro, quelli che non ci sono più e quelli
che verranno.
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Sì, la postfazione di Paolo Rumiz è scaturita proprio
da una sua visita all’Aquila. L’ho accompagnato in zona rossa, perché volevo
che vedesse i gigli, tra le rovine… ne è nato un episodio del dvd Le dimore del vento, con la regia di
Alessandro Scillitani, allegato a “Repubblica”.
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Ho cominciato a scrivere quando ho cominciato a
leggere... più o meno… La parola mi ha sempre affascinato... mi sembra di
ricordare che compitassi già all’asilo… Avevo un nonno eccezionale: sapeva
inventare ogni tipo di favole, aggiungere infinite variazioni. Conosceva a
memoria lunghe filastrocche. Me le raccontava con infinita dolcezza e
pazienza... mi raccontava storie del paese, dei briganti, degli esserini che vengono
dalla notte e che ti fanno i dispetti, delle anime che ti nascondono gli
oggetti o si nascondono sui rami degli alberi. Il mio destino era già segnato.
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Sì, certo sono nata in un piccolo paese della Marsica,
Verrecchie, in provincia dell’Aquila. In prima media ho letto Anna Karenina. Tutto. Leggevo di tutto.
Dalla piccola biblioteca di scuola ai volumi che una biblioteca viaggiante,
nascosta dentro un furgone, portava una volta al mese al mio piccolo paese…
Avevo tanto tempo per leggere. Mi piacevano tutti i fumetti, soprattutto quelli
da maschio: Zagor, Capitan Black, Diabolik, Tex, e mi piacevano i libri.
Leggevo, leggevo. E scrivevo. In casa, al paese per anni hanno girato i
miei quaderni, dalla casa alla cantina, poi in un altra cantina... poi nel
forno... per fare il pane o i dolci... ed è giusto così. Ma dai diciotto anni
in poi sono sempre andata in giro, ovunque, con un quaderno o un’agenda nello
zaino, nella borsa… e quelli li ho salvati, quasi tutti. Anche adesso, con un
quaderno nella borsa. Così nascono i miei libri. Scrivo, anzi mi lascio
scrivere. Li chiamo i giorni delle nuvole: il pensiero è distratto e la mente
sta altrove… Non so bene dove sia questo altrove. Ma ci entro... e ci resto,
per un po’. Quando ne esco, ho un bottino di parole: che sia una poesia, un
progetto, semplicemente una frase... qualcosa riemerge da quelle nuvole e si
solidifica… a volte ne sono appena cosciente... sento che si sta agglutinando...
che la parola si fa rotonda, come una caramella tra le labbra: e quel sapore...
ogni volta è sempre un sapore diverso…amaro, aspro, dolce, agrodolce, piacevole
o spiacevole… sa di mare e di montagna, sa di tempo.
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Sì, il tempo mi ha sempre affascinato...
ho sempre riflettuto sul tempo e la memoria… e non ne sono mai venuta a capo...
forse questo è il senso della vita: il proprio viaggio nel mondo e gli incontri
che questo viaggio ci offre con miriadi di esseri viventi: uomini e donne,
animali gatti e cani, uccelli, fiori, alberi e foglie… e anche libri... sì
certo libri: abbracci che ho stretto con scrittori lontani millenni e che pure
sento come se (mi) fossero contemporanei…
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