domenica 2 dicembre 2012

LE INTERVISTE (IM)POSSIBILI: Patrizia Tocci intervista Tocci Patrizia


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Sì, è il mio quarto libro. Ho pensato che fosse un dovere, questa testimonianza. Ho creato un gruppo su facebook, La banca della memoria: e ho cominciato a chiedere ai miei contatti virtuali se volessero condividere questo progetto: raccontare noi, i testimoni, le prime dodici ore della notte tra il 5 e il 6 aprile del 2009. Volevo che fosse la nostra voce di abitanti dell’Aquila e dei paesi del cratere a raccontare quest’esperienza che rinnegava le parole. Sono sempre stata convinta che scrittura e terapia vanno insieme… Pian piano le adesioni sono arrivate. Non è stato facile: in alcun i casi le ho quasi “estorte”, dolcemente e con forza. Per alcune ho atteso tempi lunghissimi. Ma anche questa attesa aveva il suo senso. I testi, stando insieme, hanno cominciato a coalizzarsi, a riconoscersi e così sono nate le 7 sezioni del libro: Numeri, La lista, A piedi nudi, Qui è ancora notte, Voci, L’esodo e gli Intrusi.

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Mi sono accorta di aver fatto anch’io un viaggio, in questi anni in cui ho lavorato per cercare di far emergere la voce di ogni singolo testo, rispettandolo. Un viaggio nelle storie e nelle vite degli altri. Ci sono testimonianze che riguardano Camarda, Calascio, Coppito, Paganica, San Demetrio, San Gregorio… Zone o quartieri dell’Aquila come San Pietro, Costa Masciarelli, Via Sassa… questi nomi dicono ben poco ai non aquilani, e spesso per sintesi usiamo dire L’Aquila. Ci sono testimonianze di ragazzi giovanissimi, appena diplomati e di persone di tutte le età e di tutte le professioni. Autori più o meno noti; autori che hanno un rapporto frequente o professionale con la scrittura, autori che hanno scritto per la prima volta per me. Oserei scrivere per noi. Perché forse, la caratteristica di questo libro, la sua forza è che è stato un libro condiviso, in tutte le sue fasi: per questo ho usato il sottotitolo Narrazione collettiva. Anche per me ci sono state lunghe pause tra le varie fasi di preparazione del libro. C’erano dei giorni in cui mi era impossibile lavorare perché non riuscivo a trovare il distacco sufficiente da quei testi che comunque mi riguardavano.

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I gigli della memoria perché ogni racconto è un giglio e ogni giglio corrisponde ai gigli dell’Aquila, bellissimi abbellimenti finali delle catene di ferro che tenevano in piedi i muri maestri nelle vecchie case aquilane. La scrittrice Laudomia Bonanni sostiene che siano degli ex voto: e che questi gigli siano stati messi sulle case e sui muri rimasti in piedi dopo il terremoto del 1703. Quei gigli ci sono ancora: anche se un po’ nascosti e poco visibili, rappresentano ormai per me (e non solo per me) il simbolo della nostra città: e mi piacerebbe che spuntassero su ogni casa ricostruita, a testimoniare questa seconda distruzione e questa seconda voglia di rinascita. I gigli legano, come in una catena di ferro, quelli che non ci sono più e quelli che verranno.

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Sì, la postfazione di Paolo Rumiz è scaturita proprio da una sua visita all’Aquila. L’ho accompagnato in zona rossa, perché volevo che vedesse i gigli, tra le rovine… ne è nato un episodio del dvd Le dimore del vento, con la regia di Alessandro Scillitani, allegato a “Repubblica”.

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Ho cominciato a scrivere quando ho cominciato a leggere... più o meno… La parola mi ha sempre affascinato... mi sembra di ricordare che compitassi già all’asilo… Avevo un nonno eccezionale: sapeva inventare ogni tipo di favole, aggiungere infinite variazioni. Conosceva a memoria lunghe filastrocche. Me le raccontava con infinita dolcezza e pazienza... mi raccontava storie del paese, dei briganti, degli esserini che vengono dalla notte e che ti fanno i dispetti, delle anime che ti nascondono gli oggetti o si nascondono sui rami degli alberi. Il mio destino era già segnato.

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Sì, certo sono nata in un piccolo paese della Marsica, Verrecchie, in provincia dell’Aquila. In prima media ho letto Anna Karenina. Tutto. Leggevo di tutto. Dalla piccola biblioteca di scuola ai volumi che una biblioteca viaggiante, nascosta dentro un furgone, portava una volta al mese al mio piccolo paese… Avevo tanto tempo per leggere. Mi piacevano tutti i fumetti, soprattutto quelli da maschio: Zagor, Capitan Black, Diabolik, Tex, e mi piacevano i libri. Leggevo, leggevo. E scrivevo. In casa, al paese per anni hanno girato i miei quaderni, dalla casa alla cantina, poi in un altra cantina... poi nel forno... per fare il pane o i dolci... ed è giusto così. Ma dai diciotto anni in poi sono sempre andata in giro, ovunque, con un quaderno o un’agenda nello zaino, nella borsa… e quelli li ho salvati, quasi tutti. Anche adesso, con un quaderno nella borsa. Così nascono i miei libri. Scrivo, anzi mi lascio scrivere. Li chiamo i giorni delle nuvole: il pensiero è distratto e la mente sta altrove… Non so bene dove sia questo altrove. Ma ci entro... e ci resto, per un po’. Quando ne esco, ho un bottino di parole: che sia una poesia, un progetto, semplicemente una frase... qualcosa riemerge da quelle nuvole e si solidifica… a volte ne sono appena cosciente... sento che si sta agglutinando... che la parola si fa rotonda, come una caramella tra le labbra: e quel sapore... ogni volta è sempre un sapore diverso…amaro, aspro, dolce, agrodolce, piacevole o spiacevole… sa di mare e di montagna, sa di tempo.

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Sì, il tempo mi ha sempre affascinato... ho sempre riflettuto sul tempo e la memoria… e non ne sono mai venuta a capo... forse questo è il senso della vita: il proprio viaggio nel mondo e gli incontri che questo viaggio ci offre con miriadi di esseri viventi: uomini e donne, animali gatti e cani, uccelli, fiori, alberi e foglie… e anche libri... sì certo libri: abbracci che ho stretto con scrittori lontani millenni e che pure sento come se (mi) fossero contemporanei…




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